La responsabilità penale dei tecnici delle caldaie

pubblicato: sabato, 7 aprile, 2018

La responsabilità penale dei tecnici delle caldaie

I tecnici che si occupano della manutenzione delle caldaie rispondono di omicidio colposo quando non avvisano il proprietario di guasti talmente gravi da ucciderlo.

La Corte di cassazione ha deciso che il tecnico che controlla una caldaia e non avvisa il proprietario dell’immobile di guasti tali da cagionare la morte del proprietario dell’immobile, risponde di omicidio colposo, ossia involontario. Il tecnico avrebbe dovuto diffidare l’occupante dall’utilizzo della caldaia indicando le operazioni necessarie per il ripristino delle condizioni di sicurezza (sentenza del 26 ottobre 2016 n. 44968).

Il caso riguarda una caldaia mal funzionante e installata in un luogo inidoneo.

Un primo tecnico controlla la caldaia, attesta che funziona bene e non prescrive altre istruzioni.

Dopo alcuni anni un secondo tecnico va a controllare la stessa caldaia e ne dichiara il buon funzionamento nonostante le avarie e la concentrazione di fumi elevata. In particolare i tecnici hanno violato quanto prescritto dalla normativa di riferimento (Uni 1729 e dal dlgs numero192 del 2005), dichiarando come positive le seguenti voci di verifica:

– idoneità del locale di installazione;

– adeguate dimensioni delle aperture di ventilazione;

– aperture di ventilazione libere da ostruzioni;

– verifica efficienza evacuazione fumi.

Il proprietario dell’immobile decedeva a seguito di collasso cardiorespiratorio terminale dovuto ad asfissia acuta all’intossicazione di monossido di carbonio.

La quantità di monossido di carbonio, a causa del cattivo funzionamento della caldaia stessa e dell’inidoneità del locale in cui la caldaia era ubicata, risultava superiore alla soglia di letalità.

Eppure la caldaia, di tipo aperto, si trovava in un locale chiuso da vetrate, con una griglia di areazione costruita da grasso e polvere, e il valore di monossido di carbonio era molto elevato (198 parti per milione, ossia una quantità che causa mal di testa, fatica e nausea dopo 2 ore di esposizione).

Il tecnico inoltre nello spazio “raccomandazioni e prescrizioni” non prescriveva alcun intervento in merito alla tipologia del locale, inadatto per le caldaie aperte (di tipo B).

La Corte di appello aveva confermato la condanna del tribunale ritenendo che il tecnico aveva violato le regole tecniche del settore, come stabilite dalla specifica normativa (dlgs 192/2005, dpr n. 412/93 e relativi allegati, costituenti attuazione della direttiva 2002/91/CE).

In particolare la Corte sottolineava che il manutentore, nel primo rapporto tecnico, aveva attestato che il locale di installazione non era idoneo per caldaie aperte, senza esercitare il potere di diffida o la messa fuori servizio espressamente previsto dalla normativa vigente.

Il tecnico ha proposto ricorso per Cassazione chiedendo l’annullamento della decisione.

La Corte di appello avrebbe ritenuto erroneamente che i manutentori hanno il potere e l’obbligo di ordinare al proprietario della caldaia di interrompere l’esercizio quando rilevano l’immediato pericolo alle persone, agli animali o alle cose, senza indicare quale sia la situazione idonea a integrare tale pericolo immediato.

Mancherebbe infatti una norma prescrittiva di riferimento.

Inoltre il tecnico condannato per omicidio colposo, nel presentare ricorso per Cassazione, ha fatto valere l’interruzione del nesso causale, addossando la colpa dell’evento morte in capo al tecnico manutentore intervenuto successivamente che, come lui, aveva omesso di certificare il malfunzionamento della caldaia.

La spiegazione della condanna

Per la Cassazione, entrambi i tecnici manutentori sono responsabili dell’omicidio colposo a titolo di concorso.

Quando l’obbligo di impedire l’evento ricade su più persone che devono intervenire o intervengano in tempi diversi, la responsabilità il nesso di causalità tra la condotta del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell’obbligo di impedire l’evento.

Configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell’articolo 41, comma primo, cod. pen. in questa ipotesi, la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto commissivo o omissivo dell’agente), a opera di terzi, non è una distinta causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, ma una causa/condizione negativa grazie alla quale la prima continua a essere efficace.

Il primo tecnico era garante e, violando norme precauzionali, non ha imposto la messa fuori servizio della caldaia; il successivo tecnico manutentore che è intervenuto non ha rimosso per colpa la situazione di pericolo, con la conseguenza che i due garanti tecnici manutentori saranno entrambi responsabili in misura equivalente ex art. 41 c.p. in virtù della regola del concorso di cause.

La Corte inoltre ha escluso l’interruzione del nesso causale per la condotta imprudente della vittima consistita nell’aver disposto l’installazione della caldaia in luogo non idoneo e per averla ivi mantenuta, poiché questa condotta imprudente della vittima non costituisce un fatto eccezionale e atipico idoneo a interrompere il nesso di causalità.

Dunque il nesso di causalità tra la condotta omissiva del titolare della posizione di garanzia, tenuto per primo a intervenire, non viene meno per effetto del mancato intervento da parte di altro garante, «sempre che la posizione di pericolo non si sia modificata, per effetto del tempo trascorso o di un comportamento del secondo garante, in modo tale da escludere la riconducibilità al primo garante della nuova situazione creatasi».

Da news ItaliaOggi  15/03/2018 21:34

GECOSEI di Giuseppina Napolitano

Scarica l'allegato