Cappotti tradizionali vs cappotti nanotecnologici.

pubblicato: sabato, 5 marzo, 2022

Cappotti tradizionali vs cappotti nanotecnologici.

È possibile isolare termicamente una parete senza aumentarne lo spessore?

Ing. Cristian Angeli 02/03/2022

L’intervento di manutenzione senza dubbio più gettonato in ambito condominiale è quello che prevede la realizzazione del cappotto termico. Ed è comprensibile, visto che il costo dell’energia nell’ultimo anno è più che raddoppiato.

Realizzare un cappotto è semplice, economico e conveniente, anche perché la spesa può fruire delle super agevolazioni al 110% (ecobonus). Per farlo si impiega solitamente il polistirene espanso (o polistirolo o EPS), che è l’isolante più diffuso e anche più collaudato per la coibentazione degli edifici.

Tranne nelle zone climatiche estreme si utilizzano pannelli di spessore variabile da 4 a 10-12cm, in relazione alle caratteristiche dell’edificio e del pacchetto murario con cui è realizzato. Lo spessore dipende inoltre dalla classe energetica che si vuole raggiungere e dalle specifiche caratteristiche dell’isolante.

Infatti anche nell’ambito del medesimo materiale, ad esempio dei polistiroli, esistono “gamme” di prodotto di diversa qualità e con valori specifici di conducibilità termica (*).

L’applicazione è relativamente veloce, poiché si interviene dall’esterno incollando e fissando meccanicamente le lastre sull’intonaco preesistente. A seguire si ricopre il tutto mediante la cosiddetta “rasatura”, ovvero una protezione costituita da una apposita rete d’armo a sua volta finita con uno strato sottilissimo di malta adesiva che, tinteggiata, conferisce l’aspetto esteriore più desiderato.

La maggior parte degli edifici italiani, sia di nuova costruzione sia ristrutturati, presentano un sistema di coibentazione di questo tipo.

Il problema dei balconi

La realizzazione del cappotto termico a volte può creare problemi in corrispondenza dei balconi poiché, con il suo spessore, ne restringe la superficie calpestabile. In alcune realtà cittadine lo spazio è denaro e anche pochi centimetri in meno possono creare notevoli malumori.

Ma possono esserci anche altri problemi, poiché le pareti dei balconi sono spesso ricolme di utilities: caldaie, unità moto condensanti, appliques, armadi, tendaggi, fioriere e arredi vari.

Poi bisogna tener conto degli adattamenti necessari in corrispondenza dei serramenti, che a volte possono interessare anche gli interni.

A tale proposito sono ormai note le recenti sentenze che hanno annullato delibere condominiali che, approvando l’esecuzione del cappotto sui balconi (e quindi riducendo la superficie di parti a tutti gli effetti private), andavano a ledere i diritti dei singoli condòmini che le avevano impugnate.

Al contrario il Tribunale di Milano non ha sospeso una delibera che prevedeva l’installazione del cappotto anche nelle proprietà esclusive solo perché la decisione assembleare espressamente aveva previsto la facoltà per il condòmino dissenziente di non realizzare il cappotto sul proprio balcone ricorrendo ad altre soluzioni (Trib. Milano 13 agosto 2021).

C’è una logica, perché quando si effettua l’efficientamento energetico di un edificio la coibentazione deve essere omogenea su tutto l’involucro disperdente e quindi anche i balconi devono essere coibentati, in un modo o nell’altro.

Diversamente verrebbe meno l’esigenza della collettività dei condòmini, in quanto il professionista incaricato dall’assemblea di progettare gli isolamenti difficilmente riuscirebbe a far quadrare i conti previsti dalla ex legge 10/91.

Centimetro più, centimetro meno, i problemi non cambiano

In alternativa ai cappotti realizzati con materiali tradizionali si stanno diffondendo sistemi realizzati con pannelli a base di gel di silice, anche conosciuti con il nome di nano-cappotti, che permettono di ridurre, a parità di prestazione isolante, lo spessore del rivestimento.

Esistono vari marchi commerciali di questi prodotti, per la cui definizione e per le cui caratteristiche può essere opportuno fare riferimento ai prezziari ufficialmente riconosciuti in Italia, ad esempio quello edito dalla DEI, che li descrive come “pannelli isolanti a base di aerogel, a diffusione aperta e a diffusione capillare” aventi “conduttività termica pari a 0.015W/mK, accoppiati ad una membrana traspirante in polipropilene”. Il medesimo prezzario ne specifica i costi comprensivi di posa in opera per spessori variabili da 6 a 60mm, che risultano -n volte più alti di quelli di un cappotto di analoghe caratteristiche termiche realizzato in pannelli polistirene espanso.

Pro e contro come in tutte le cose.

La riflessione – e la scelta – si deve spostare sul piano tecnico.

È vero che la realizzazione di un cappotto tradizionale porta via un po’ di spazio, con tutto ciò che ne consegue, ma non si può non rilevare che anche l’impiego (corretto) di cappotti d’avanguardia richiede spessori dell’ordine di qualche centimetro, e non di qualche millimetro come a volte si dice. Viene da chiedersi pertanto se ne valga la pena, considerando non lo spessore in valore assoluto, ma la differenza tra i due.

Spetta come sempre al professionista fare le opportune valutazioni, anche sul piano certificativo dei prodotti, tenendo conto del rapporto costi/benefici.

Fonte: https://www.condominioweb.com/cappotti-tradizionali-vs-cappotti-nanotecnologici.19039

GECOSEI di Giuseppina Napolitano

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