Come ripartire la spesa acqua in Condominio

pubblicato: giovedì, 18 settembre, 2014

Ripartizione delle spese per il consumo d’acqua, via i criteri fantasiosi, la spesa va suddivisa per consumi o in base ai millesimi

Come ripartire le spese d’acqua in Condomìnio senza errori?

In un condomìnio l’assemblea decideva una particolare modalità di ripartizione delle spese per il servizio di erogazione dell’acqua potabile.

In breve: le spese per l’acqua potabile erano suddivise in proporzione al numero degli occupanti delle unità immobiliari, con esonero di quelle risultanti, a seguito di indagini dell’amministratore, disabitate.

Uno dei condomini non ci stava e proponeva impugnazione della deliberazione. Per avere ragione ha dovuto portare la causa fino alla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha riconosciuto la fondatezza delle doglianze del comproprietario con la sentenza n. 17557 depositata in cancelleria l’1 agosto 2014.

La pronuncia è particolarmente interessante in quanto non è molto frequente che cause sulle modalità di ripartizione delle spese per il consumo d’acqua arrivino alla loro attenzione.

L’iter motivazionale della sentenza n. 17557 ha il merito di mettere in evidenza che molte consuetudini condominiali, se non fondate su anni di accettazione tacita e se adeguatamente avversate, possono essere messe in soffitta anche per sollecitare l’adozione dei sistemi di misurazione dei consumi.

Si badi: la contestazione è bene farla per il futuro in quanto per gli anni pregressi non contestati è difficile, se non proprio impossibile, ottenere qualcosa.

Andiamo per ordine.

Come devono essere ripartite (preferibilmente).

Al quesito, idealmente, risponde la sentenza n. 17557 specificando che “le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche”.

Si tratta del così detto contatore di sottrazione.

“Infatti – prosegue la Corte – l’installazione in ogni singola unità immobiliare di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l’addebito dei costi, salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell’acqua che serve per le parti comuni dell’edificio”.

Come dire: se hai consumato x metri cubi, paghi quel che hai consumato.

Se per le parti comuni (es. giardino) sono stati consumati Y metri cubi, questi devono essere ripartiti tra tutti secondo i millesimi di proprietà.

La corte termine il proprio ragionamento spiegando che il Legislatore auspica l’adozione di questi sistemi di misurazione (è sempre utile considerare le legislazioni regionali per eventuali obblighi in merito).

Insomma, se tutto fosse così non ci sarebbero problemi di sorta.

E se le unità immobiliari non sono dotate di contatore di sottrazione (come nel caso specifico sottoposto all’attenzione della Corte)?

In tale ipotesi, afferma la Corte, “il sistema dell’art. 1123 cod. civ. non ammette che, salvo diversa convenzione tra le parti, il costo relativo all’erogazione dell’acqua, con una delibera assunta a maggioranza, sia suddiviso in base al numero di persone che abitano stabilmente nel condomìnio e che resti di conseguenza esente dalla partecipazione alla spesa il singolo Condòmino il cui appartamento sia rimasto disabitato nel corso dell’anno. Il comma 1 della citata disposizione, infatti, detta un criterio per le spese di tutti i beni e servizi di cui i condomini godono indistintamente, basato su una corrispondenza proporzionale tra l’onere contributivo ed il valore della proprietà di cui ciascuno Condòmino è titolare” (Cass. 1 agosto 2014 n. 17557).

Si badi, avvertono gli ermellini, a non lasciarsi trarre in inganno da quanto stabilito dal secondo comma dell’art. 1123, secondo comma, c.c. a mente del quale “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne”.

Il servizio differente verso ciascun Condòmino deve guardare all’utilizzazione potenziale. Dire che in una casa non abitata non si consuma acqua – specificano da piazza Cavour – può essere vero ma non è assolutamente certo in quanto in quell’abitazione potrebbe esserci una perdita, oppure si potrebbe utilizzare il servizio per pulizie e simili.

Allo stesso modo stabilire un criterio di ripartizione più oneroso per se un’abitazione è presente una o più persone, è sfornito di ogni ragionevolezza nei termini sopra indicati.

Inoltre, esentare gli appartamenti non abitati dal concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico imputabile al lavaggio delle parti comuni o all’annaffiamento del giardino condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura dell’acqua potabile che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio da parte del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari domestiche facenti parte del condomìnio, è indipendente dal consumo effettivo” (Cass. 1 agosto 2014 n. 17557).

Ed allora? Secondo la Corte di Cassazione deve essere sempre tenuto presente il principio di carattere generale (eluso dalla pronuncia impugnata e che ha portato alla sentenza n. 17557), secondo il quale “in tema di condomìnio, fatta salva la diversa disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, in base ai valori millesimali delle singole proprietà, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che – adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare – esenti al contempo dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno”.

GECOSEI di Giuseppina Napolitano

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