Urla, rumori di mobili e tacchi in condominio: quando la maleducazione diventa reato?

pubblicato: domenica, 17 gennaio, 2021

Urla, rumori di mobili e tacchi in condominio: quando la maleducazione diventa reato?

Disturbo alla quiete e al riposo delle persone: quante persone devono subire i rumori molesti affinché si integri il reato?

Avv. Mariano Acquaviva – Foro di Salerno 11/01/202Fine modulo

Anche se il regolamento condominiale non dovesse prevedere le fasce di silenzio o altre specifiche norme che regolino la pacifica convivenza tra vicini, tutti gli inquilini sono tenuti a rispettare le disposizioni di legge che vietano di arrecare disturbo alla quiete pubblica.

Urla, rumori di mobili e tacchi in condominio possono sfociare in un reato e, per la precisione, nell’ipotesi criminosa di cui all’art. 659 del codice penale, secondo cui è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro chi, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche o ancora suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone.

Secondo la Corte di Cassazione (ordinanza n. 36329 del 25.09.2020), per provare che l’inquilino del piano di sopra arreca disturbo al riposo è sufficiente la testimonianza di pochi altri condòmini i quali dichiarino, davanti al giudice, di percepire il rumore causato dall’imputato. In pratica, la Corte di Cassazione sembra ricordare che, talvolta, anche la maleducazione diventa reato.

Vediamo più nel dettaglio cosa hanno statuito i supremi giudici.

Rumori condominiali: il caso sottoposto alla Suprema Corte

Ricorreva per Cassazione una donna che era stata condannata alla pena di 150 euro di ammenda per avere ripetutamente causato rumori molesti all’interno della sua abitazione, così da impedire il riposo notturno dei condòmini residenti nel suo stesso stabile.

Secondo la difesa dell’imputata, la penale responsabilità sarebbe infondata perché i rumori causati erano stati percepiti esclusivamente dagli inquilini degli appartamenti limitrofi e non già da un numero indeterminato di persone, quand’anche fossero stati soltanto altri soggetti abitanti nel medesimo condominio.

Da tanto non poteva ritenersi perfezionata la fattispecie criminosa contestata ma, al più, trattandosi di disturbo arrecato ai vicini, una condotta generatrice di mera responsabilità civile (immissioni intollerabili ex art. 844 c.c.).

In subordine, l’imputata si lamentava della mancata concessione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. in ragione della non abitualità della condotta e della trascurabilità dell’offesa.

Rumori molesti in condominio: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, dichiara inammissibile il ricorso, confermando così la condanna dell’imputata.

Per quanto concerne il primo motivo di doglianza, e cioè che i rumori sarebbero stati percepiti solamente dagli inquilini degli appartamenti limitrofi, la Suprema Corte ricorda che, per integrarsi l’illecito di cui all’art. 659 c.p., trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente l’attitudine delle fonti sonore provocate dall’agente a essere risentite da una pluralità di soggetti, fatto questo che risulta essere stato puntualmente accertato sulla scorta delle univoche dichiarazioni dei tre testimoni escussi, dalle quali emerge che il rumore di trascinamento dei mobili e le urla provenienti dall’appartamento dell’imputata impedivano il riposo non già personale ma dei condomini, e dell’ora notturna in cui venivano prodotti da quest’ultima.

Come affermato dalla praticamente unanime giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass., Sez. 3, sent. n. 18521 dell’11/01/2018), perché possa ritenersi integrata la contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. è necessario che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano attitudine a propagarsi in modo tale da essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone.

Ne consegue che se l’attività di disturbo ha luogo in un edificio condominiale, per ravvisare la responsabilità penale del soggetto agente non è sufficiente che i rumori arrechino disturbo o siano idonei a turbare la quiete e le occupazioni dei soli abitanti gli appartamenti inferiori o superiori rispetto alla fonte di propagazione, ma occorre una situazione di immissioni rumorose idonee, così come accertato nella specie, a recare disturbo a una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio, dovendo in tale ipotesi ritenersi integrata la compromissione della quiete pubblica.

Peraltro, è appena il caso di ricordare che, secondo una recentissima sentenza del giudice nomofilattico (sentenza del 9 ottobre 2020, n. 33708), è sufficiente che i rumori molesti siano avvertiti anche da solo tre condòmini affinché si integri il reato di cui all’art. 659 c.p.

Secondo la sentenza da ultimo citata, «ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio».

Né d’altra parte può rilevare la circostanza secondo cui solo alcuni dei soggetti potenzialmente lesi dalle emissioni sonore se ne siano lamentati; questa evenienza non esclude la configurabilità del reato allorquando sia stata accertata, così come ha fatto il giudice di prime cure, l’idoneità delle stesse ad arrecare disturbo non solamente a un singolo ma a un gruppo indeterminato di persone, quali gli abitanti nel medesimo condominio, con la conseguente incidenza della condotta sulla tranquillità pubblica e la lesione dell’interesse protetto dalla disposizione, che è costituito, appunto, dalla quiete e dalla tranquillità pubblica.

Rumori molesti: l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto

Per quanto riguarda la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. sull’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, la Suprema Corte ritiene inammissibile la richiesta avanzata dall’imputata in quanto tale doglianza non era stata proposta innanzi al giudice di merito.

La Corte di Cassazione giustamente ricorda che non possono essere svolte innanzi al Supremo collegio, chiamato al controllo di legittimità della sentenza impugnata, richieste che non risultano essere state preventivamente rivolte al giudice di merito, senza peraltro essere accompagnate dalla specificazione delle ragioni legittimanti il riconoscimento della causa di non punibilità.

Ad ogni modo, in merito alla questione dell’applicabilità o meno dell’art. 131-bis c.p. alla contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., è appena il caso di ricordare che la giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sentenza n. 36317/2019) ha ritenuto astrattamente applicabile l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone se la condotta molesta dell’imputato si è esaurita in un unico e isolato episodio.

In pratica, è possibile applicare l’art. 131-bis c.p. al reato di cui all’art. 659 c.p., purché però sia accertato che il disturbo alla quiete non rappresenti una condotta abituale, cioè che non si sia protratto nel tempo.

Fonte: https://www.condominioweb.com/disturbo-alla-quiete-e-al-riposo-quando-e-reato.17721

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