Vuoi vivere in soffitta? Occorre il permesso di costruire (e non la semplice SCIA)

pubblicato: martedì, 12 ottobre, 2021

Vuoi vivere in soffitta? Occorre il permesso di costruire (e non la semplice SCIA)

Occorre un Permesso di Costruire e non una semplice SCIA, per variare la destinazione d’uso di un locale, originariamente classificato come soffitta.

Angelo Pesce – Consulente Tecnico 12/10/2018

Il caso. La società proprietaria ed esecutrice delle opere edilizie e delle opere accessorie comportanti il mutamento della destinazione d’uso di una unità immobiliare, in origine classificata come soffitta-lavatoio-stenditoio, ad un uso residenziale, è stata condannata alla demolizione delle stesse opere ed al ripristino dello stato iniziale, perché eseguite abusivamente, in assenza dei prescritti titoli abilitativi edilizi.

Pur in presenza di un’inquilina occupante l’immobile, ritenuta corresponsabile dell’illecito, la condanna di demolizione viene ingiunta alla sola società proprietaria, al di là della sua effettiva o presunta responsabilità in merito alla commissione dell’abuso edilizio, in quanto unico soggetto in possesso del potere di rimuovere concretamente l’abuso, anche se non direttamente responsabile.

Gli interventi hanno comportato un insieme sistematico di opere accessorie finalizzate a rendere gli ambienti abitabili e fruibili a tutti gli effetti e pertanto sono stati installati termosifoni, impianto gas, impianto elettrico, prese TV e telefono e realizzato un wc con doccia e un vano caldaia esterno; gli ambienti che l’originario Permesso di Costruire erano stati destinati a soffitta, locali lavatoio e stenditoio, sono stati trasformati in un appartamento dotato di cucina, soggiorno, bagno, camera da letto matrimoniale e locale tecnico sul lato scoperto.

L’illecito e la sentenza. Sulla base di quanto stabilito dal TAR del Lazio (sentenza del 13 marzo 2018 n°9074), quanto realizzato andava assoggettato ad un regolare Permesso di Costruire.

Il ricorrente impugnava la decisione del TAR dichiarando che per il cambio di destinazione d’uso, laddove non comportasse una variazione di categoria edilizia, sarebbe stata sufficiente una SCIA e che, in caso di omissione (come tra l’altro è accaduto), sarebbe stata sufficiente una sanzione pecuniaria e non un’ingiunzione di demolizione.

Il TAR innanzitutto evidenzia come la sola realizzazione di impianti tecnologici e sanitari conferma un cambio di destinazione d’uso e, così come previsto dall’art. 33 ( Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità) del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), vanno rimossi o demoliti; essendo in presenza di opere edilizie realizzate dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza, si configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia (così come definita dal D.P.R. 380/2001, art. 3, co. 1, lett. d) e dunque la creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente che va, pertanto, assoggettato al previo rilascio del Permesso di Costruire e al pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione.

Secondo il TAR, l’art. 10 (Interventi subordinati a Permesso di Costruire) del TUE stabilisce, alla lett. c), che costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a PdC “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli (D.Lgs. 42/2004)“.

Tuttavia non deve trarre in inganno la limitazione a quegli immobili ricadenti nelle zone omogenee A), che porterebbe ad intendere esenti da PdC gli immobili situati al di fuori delle zone A), anche solo per il cambio di destinazione d’uso; la coerente interpretazione della norma, dichiara il TAR, porta a ritenere che il legislatore faccia riferimento alle “destinazioni d’uso compatibili” (come dallo stesso riportate all’art. 3, co. 1, lett. c del TUE, relativamente alla tipologia del restauro e risanamento conservativo). Nello specifico l’art. 3 evidenzia fra gli interventi edilizi:

D.P.R. 380/2001 (TUE) – Art. 3 “Definizione degli interventi edilizi

(articolo aggiornato dalla L. 164/2014 e dalla L. 96/2017)

lett. b)

interventi di

manutenzione

straordinaria

le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso.

Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso;

lett. c)

interventi di

restauro e di

risanamento

conservativo

gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi.

Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;

lett. d)

interventi di

ristrutturazione

edilizia

gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.

Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione […]

Gli interventi di ristrutturazione edilizia, così come quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, necessitano sempre di Permesso di Costruire, qualora comportino mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.

Altro punto di rilievo, secondo il TAR, è il cambio di destinazione d’uso che può ritenersi, a tutti gli effetti, urbanisticamente rilevante: la trasformazione di una soffitta (destinata a lavatoio e stenditoio, in questo caso), che originariamente presenta le caratteristiche di un vano accessorio o di pertinenza (come può essere un’autorimessa, una cantina, un locale di servizio) e pertanto non assimilabile, dallo strumento urbanistico vigente, a superficie residenziale all’atto del rilascio dell’originario PdC, in un locale abitabile, si configura come ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria.

Fonte: https://www.condominioweb.com/soffitta-trasformazione-abitazione.15219

GECOSEI di Giuseppina Napolitano

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